A seguito della riforma del Titolo V della Costituzione, l’attuazione delle politiche sociali, che hanno la loro matrice nella Legge 328/00 (varata prima della citata riforma costituzionale), è responsabilità delle Regioni.
all’articolo 9, il: «piano personalizzato di assistenza»;
all’articolo 12, comma c, la: «realizzazione di reti di sostegno e di strutture residenziali di tipo familiare all’interno della comunità, a favore di persone con grave disabilità e delle persone con sofferenza psichica prive di adeguato sostegno familiare per interventi del prima e del dopo di noi. In tale contesto sono promossi interventi ed azioni mirati alla fase del durante noi, al fine di garantire la progressiva presa in carico della persona con disabilità, anche grave, durante l’esistenza in vita dei genitori, rafforzando quanto previsto in tema di progetti individuali per le persone disabili nonché di favorire la deistituzionalizzazione dei servizi alla persona e assicurare la continuità di cura, la dignità e l’autonomia della persona con disabilità priva di sostegno familiare».
È perciò competenza delle Regioni – della Regione Lazio nello specifico – attuare politiche che diano al problema del “Dopo di noi” una soluzione solidaristica ed universalistica secondo i princìpi della democrazia, che la citata Legge Regionale 11 ha egregiamente interpretato.
La Legge 112 del 22 giugno 2016, emanata nel frattempo dallo Stato, in un contesto riconosciuto come emergenziale, fornisce importanti strumenti normativi ed un fondo che va inteso a supporto dell’attuazione della citata legge 11.
L’ANALISI STATISTICA
Facciamo riferimento alla nota ISTAT del 31 Maggio 2017 che illustra le principali informazioni sui disabili e sui servizi per la disabilità con particolare riguardo ai temi di interesse della Legge 112/2016. Tali informazioni sono state trasmesse in due audizioni rese:
nell’ottobre 2014, alla Commissione “Affari sociali” della Camera dei Deputati;
nell’aprile 2016, alla Commissione “Lavoro, Previdenza Sociale” del Senato a supporto alla discussione dei progetti di legge in materia.
Circa la metà delle persone con disabilità grave, con meno di 65 anni, non riceve aiuti dai servizi pubblici; pertanto, il carico dell’assistenza grava completamente sui familiari conviventi.
Sulle circa 52 mila persone che vivono sole (sempre con meno di 65 anni), il 23% usufruisce di assistenza erogata da servizi pubblici (sanitaria o socio-sanitaria), il 15,5% paga l’assistenza non sanitaria per le attività di cura della persona. In caso di necessità, il 54% ricorre solo all’aiuto di familiari non conviventi (28 mila persone). Il 19%, pari a circa 10 mila persone, non può contare su alcun aiuto. Si tratta di un segmento di persone con gravi disabilità, in condizioni particolarmente critiche, per le quali il “Dopo di noi” è già iniziato
La platea dei potenziali destinatari di interventi per il “Dopo di noi”, è costituita da un totale di circa 127mila persone, di cui:
38 mila persone con gravi disabilità al di sotto dei 65 anni che vivono sole ed hanno perso entrambi i genitori;
89 mila persone che vivono con genitori anziani (aventi un’età superiore ai 64 anni).
ALCUNE CONSIDERAZIONI
Le condizioni particolarmente critiche del 19% delle persone con disabilità (circa 10 mila) per le quali, come si è detto il “Dopo di noi” è già iniziato, hanno motivato il legislatore nazionale ad affrontare questa materia, sostanzialmente di competenza regionale (sollecitato anche da uno dei tanti fatti di cronaca, che ha visto un padre sopprimere il proprio figlio disabile). Se nel percorso parlamentare si fosse mantenuto lo spirito della legge, peraltro chiaramente esplicitato nel titolo “Disposizioni in materia di assistenza in favore delle persone condisabilità grave prive del sostegno familiare.” Prendendo come riferimento, ad esempio il finanziamento di 78,1 milioni di Euro (Gazzetta Ufficiale Serie Generale n. 62 del 13 marzo 2021), avremmo avuto un contributo annuo pro capite di circa 7.800 €, non risolutivo! tuttavia significativo rispetto alla platea ipotizzata. Invece la platea dei potenziali destinatari a cui la Legge 112/2016 si rivolge è di circa 127 mila persone; ciò significa che i fondi resi disponibili (con riferimento ancora alla G.U. sopra citata) equivalgono a circa 615 € annui pro capite.
Pur tenendo conto che dette risorse vanno aggiunte al fondo FNPS e FNA e ad altre linee di finanziamento regionali, statali ed europee, dai dati disponibili e dall’esperienza che vivono le famiglie delle persone con disabilità, risulta del tutto evidente una forte sproporzione fra i bisogni e l’insieme delle risorse pubbliche messe a disposizione.
Le “Linee guida operative regionali (Deliberazione 5 agosto 2021, n. 554)” ipotizzano anche percorsi volti a favorire la deistituzionalizzazione. Pertanto, in una situazione in cui la maggioranza delle strutture residenziali è di carattere comunitario (mediamente oltre il 90%, mentre solo il 9,6% è di tipo familiare), diventa palese che il sistema di “dopo di noi” che si sta costruendo territorialmente con la Legge Regionale n. 11 del 10 agosto 2016 non ha alcuna possibilità di dare risposte efficaci, solidali e universali alle aspettative di famiglie allo stremo.
La debolissima risposta delle famiglie alla Manifestazione di Interesse della Regione Lazio per la identificazione di un patrimonio immobiliare finalizzato al “Dopo di noi” evidenzia allo stato attuale le difficoltà, i dubbi e la mancanza di fiducia delle famiglie che debbono decidere di affidare i propri cari e i propri beni a una istituzione pubblica.
L’IMPEGNO INELUDIBILE
Sulla base delle considerazioni svolte, che indicano evidenti criticità del sistema pubblico, è necessario che le Regioni:
promuovano indagini statistiche che restituiscano l’immagine reale della situazione e confermino, smentiscano o circostanzino le ipotesi e le valutazioni sopra esposte;
definiscano un dettagliato cronoprogramma delle attività, che assicurino l’efficace ed efficiente attuazione delle norme esistenti sul “Dopo di noi” in tempi certi e brevi,risposte da troppo tempo attese dalle persone con disabilità e dalle loro famiglie;
valutino l’opportunità di integrare il sistema di welfare, che si sta costruendo territorialmente con la legge regional 10 agosto 2016 n. 11, con strumenti che vedano un diverso ed effettivo coinvolgimento delle famiglie e delle comunità, fino alla definizione del modello ottimale, anche attingendo alle migliori pratiche attuate in altre realtà territoriali.
PROPOSTA: FONDAZIONE DI COMUNITA’
Nell’ambito dell’attività di cui al punto c), riteniamo imprescindibile l’approfondimento, la definizione e l’eventuale validazione normativa del modello della “Fondazione di Comunità” (o “di Partecipazione”), in quanto praticato con successo in diverse realtà del territorio nazionale con soddisfazione delle famiglie e dei soggetti pubblici e privati coinvolti.
Questo strumento, reinventato negli anni 90 negli Stati Uniti, è particolarmente versatile, vicino all’utente e consente il suo coinvolgimento, unitamente ai soggetti pubblici e privati. L’affidabilità, la stabilità e l’immutabilità degli scopi statutari sono le condizioni che consentono di acquisire la fiducia delle famiglie, necessaria per affidare i loro figli ed i loro beni, nonché per catalizzare e attrarre le sensibilità anche di eventuali soggetti economici.
Tale modello supporterebbe le Regioni ad adempiere i loro obblighi istituzionali con il concorso di risorse private aggiuntive; con il solo onere di mettere a punto opportuni strumenti di supporto, di controllo e di governance che agevolino l’impegno delle amministrazioni locali: Comune, Municipio e ASL.
Il circolo virtuoso, che questo modello è in grado di attivare porterebbe all’auto sostenibilità economica del sistema. Analogie con le antiche forme di solidarietà territoriale, che hanno generato patrimoni cospicui. ancora oggi nella disponibilità delle IPAB, mutatis mutandis costituiscono un modello storico di riferimento.
In questi anni, in Italia il ricorso a questo tipo di fondazioni è sempre più frequente così come si sono moltiplicati i lavori tecnico-scientifici che trattano l’argomento.
GRUPPO DI STUDIO DI PISA
Presso la Scuola Superiore S. Anna di Pisa, è attivo uno specifico gruppo di studio, particolarmente qualificato,
Le Fondazioni di comunità o dii partecipazione sono realtà “sia private sia partecipate dagli enti pubblici, capaci di raccogliere e vincolare il patrimonio proveniente da una comunità territoriale di riferimento al perseguimento di fini di solidarietà sociale e tutela dei diritti delle persone in condizione di disabilità, in un contesto in cui l’intera collettività è chiamata a partecipare insieme alle istituzioni alla realizzazione di percorsi di inclusione” (Carrozza e Biondi Dal Monte 2012).
Le Fondazioni di partecipazione mescolano insieme elementi tipici delle associazioni e delle Fondazioni, in particolare la democraticità e la partecipazione (caratteristiche della dimensione associativa) con la stabilità dei fini e la tutela del patrimonio (riconducibili alla natura di Fondazione).
Tali elementi favoriscono la possibilità di coinvolgere i territori e le comunità nella programmazione, gestione e finanziamento dei servizi in quanto nuovi soggetti, sia pubblici che privati, possono aderire alla Fondazione, stabilirne le modalità operative e partecipare con le proprie risorse (economiche, professionali, di tempo) alla sua realizzazione.
Un altro tratto distintivo è il protagonismo delle famiglie (Barnes 1999).
La Fondazione di partecipazione non è un servizio o un ente terzo in cui le famiglie possono “inviare” i propri familiari disabili, bensì un’organizzazione promossa e governata dalle stesse famiglie, uno strumento per rinforzare la propria azione di cura (intesa come “care”) ed estenderla nel futuro quando non saranno più in grado di occuparsi dei figli.
Infine, la Fondazione di partecipazione non è un’organizzazione isolata bensì una realtà integrata sul territorio e inserita nelle reti formali e informali della comunità (Folgheraiter 2006) e del sistema di welfare locale (Bifulco 2015).
Il Presidente dell’U.F.Ha., Guido Trinchieri, è intervenuto sul sito Superando.it per parlare del “Dopo di noi”. Riportiamo di seguito l’articolo pubblicato.
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«È nella responsabilità delle Regioni – scrive Guido Trinchieri, a due anni dalla Legge 112/16, meglio nota come “Legge sul Dopo di Noi” – attuare, utilizzando anche gli strumenti previsti nella Legge 112/16, proprie scelte politiche, necessarie per dare al problema del “Dopo di Noi” una soluzione solidaristica ed universalistica. E tutte le Regioni dovrebbero istituire un organismo regionale permanente di gestione e garanzia, il quale assumesse la governance di un sistema che non può essere lasciato allo spontaneismo di un’utenza tanto più debole quanto più impellente è il bisogno»
La discussione riguardante la Legge 112/16 (Disposizioni in materia di assistenza in favore delle persone con disabilità grave prive del sostegno familiare), nota come “Legge sul Dopo di Noi”, è in questo momento al centro di un effervescente dibattito pubblico. Articoli, convegni, congressi, riempiono le giornate di chi cerca la soluzione ad un problema che tecnici, politici, conferenzieri improvvisati e perfino alcune Associazioni di persone con disabilità considerano risolto… Eureka! Abbiamo la Legge 112! Troppi genitori ormai anziani, invece, non riescono a vedere alternative al prendersi personalmente cura di figli con grave disabilità, e continuano ad annullare, nella cura e nell’assistenza, la loro vita sociale, personale e lavorativa fino allo stremo. Solo loro sembra non vogliano capire!
Ma quali sono i frutti dei due anni di vigenza? Quale il senso di questa Legge? Cosa dicono i conferenzieri blasonati e i funzionari affannati?
Sono stati stipulati, in tutta Italia solo una decina di trust in favore di persone con grave disabilità. Nella Regione Lazio l’avviso pubblico di manifestazione di interesse per l’individuazione di un patrimonio immobiliare solidale da destinare alle finalità della Legge 112, sembra non abbia raccolto, fra pubblico e privato, più di una ventina di adesioni.
Questa situazione merita una riflessione e un chiarimento circa il senso di questa Legge.
Con essa, lo Stato, esercitando proprie prerogative e competenze, ha messo a disposizione delle Regioni una cifra, per altro modesta, e l’adattamento di alcune norme finanziarie tese ad agevolare la trasmissione di beni a persone con grave disabilità.
Il grande fermento intorno a questa Legge, tuttavia, non si concentra sulle difficoltà nell’applicazione delle norme a carattere finanziario, per la cui correzione la dottoressa Pierluisa Cabiddu, consigliere nazionale del Notariato, si sta generosamente spendendo, ma sulla spartizione di un finanziamento la cui entità, rispetto alle dimensioni del problema, è poco meno di un “calcio di mosca”!
Chi scrive ha convintamente dato il proprio contributo a questa Legge con incontri e audizioni sia alla Camera che al Senato, ben sapendo di lavorare ad uno strumento importante, ma di dettaglio rispetto al problema centrale, che è l’attuazione dell’insieme delle politiche per la disabilità previste nella nostra Legislazione. Questa considerazione, non a torto, ha fatto dire ad alcune Associazioni che si stava varando una legge pleonastica.
È in capo alle Regioni, in forza della riforma del Titolo V della Costituzione, l’attuazione delle politiche sociali che hanno la loro matrice nella Legge 328/00 (varata prima della stessa riforma del Titolo V).
La Regione Lazio solo nel 2016 ha provveduto a recepire la Legge 328/00, licenziando, il 10 agosto di quell’anno, la Legge Regionale n. 11, che prevede, all’articolo 9 il «piano personalizzato di assistenza» e all’articolo 12, comma c, la «realizzazione di reti di sostegno e di strutture residenziali di tipo familiare all’interno della comunità, a favore di persone con grave disabilità e delle persone con sofferenza psichica prive di adeguato sostegno familiare per interventi del prima e del dopo di noi. In tale contesto sono promossi interventi ed azioni mirati alla fase del durante noi, al fine di garantire la progressiva presa in carico della persona con disabilità, anche grave, durante l’esistenza in vita dei genitori, rafforzando quanto previsto in tema di progetti individuali per le persone disabili nonché di favorire la deistituzionalizzazione dei servizi alla persona e assicurare la continuità di cura, la dignità e l’autonomia della persona con disabilità priva di sostegno familiare».
È perciò nella responsabilità delle Regioni – della Regione Lazio nello specifico – attuare, utilizzando anche gli strumenti previsti nella Legge 112, proprie scelte politiche, necessarie per dare al problema del “Dopo di Noi” una soluzione solidaristica ed universalistica, secondo i princìpi democratici che la citata Legge Regionale 11/16 ha egregiamente interpretato.
Inoltre, sull’esempio delle buone prassi già attuate da altre Regioni, andrebbe istituito un organismo regionale permanente di gestione e garanzia, declinato da alcune Regioni come Fondazione di Partecipazione, che riscuota la fiducia delle persone con disabilità e delle loro famiglie, ed assuma la governance di un sistema che non può essere lasciato allo spontaneismo di un’utenza tanto più debole quanto più impellente è il bisogno.
Su questo va cercata un’interlocuzione con i decisori politici, per integrare gli strumenti tecnico giuridici a disposizione con altri amministrativi di conio regionale, che consentano di attuare politiche in armonia con la Legislazione vigente, a partire dalla citata Legge Regionale 11/16 (Sistema integrato degli interventi e dei servizi sociali della Regione Lazio), che si rifà all’intero corpus della legislazione sui problemi della disabilità, a partire dalla Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità.
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