La discussione riguardante la Legge 112/16 (Disposizioni in materia di assistenza in favore delle persone con disabilità grave prive del sostegno familiare), nota come “Legge sul Dopo di Noi”, è in questo momento al centro di un effervescente dibattito pubblico. Articoli, convegni, congressi, riempiono le giornate di chi cerca la soluzione ad un problema che tecnici, politici, conferenzieri improvvisati e perfino alcune Associazioni di persone con disabilità considerano risolto… Eureka! Abbiamo la Legge 112!
Troppi genitori ormai anziani, invece, non riescono a vedere alternative al prendersi personalmente cura di figli con grave disabilità, e continuano ad annullare, nella cura e nell’assistenza, la loro vita sociale, personale e lavorativa fino allo stremo. Solo loro sembra non vogliano capire!
Ma quali sono i frutti dei due anni di vigenza? Quale il senso di questa Legge? Cosa dicono i conferenzieri blasonati e i funzionari affannati?
Sono stati stipulati, in tutta Italia solo una decina di trust in favore di persone con grave disabilità. Nella Regione Lazio l’avviso pubblico di manifestazione di interesse per l’individuazione di un patrimonio immobiliare solidale da destinare alle finalità della Legge 112, sembra non abbia raccolto, fra pubblico e privato, più di una ventina di adesioni.
Questa situazione merita una riflessione e un chiarimento circa il senso di questa Legge.
Con essa, lo Stato, esercitando proprie prerogative e competenze, ha messo a disposizione delle Regioni una cifra, per altro modesta, e l’adattamento di alcune norme finanziarie tese ad agevolare la trasmissione di beni a persone con grave disabilità.
Il grande fermento intorno a questa Legge, tuttavia, non si concentra sulle difficoltà nell’applicazione delle norme a carattere finanziario, per la cui correzione la dottoressa Pierluisa Cabiddu, consigliere nazionale del Notariato, si sta generosamente spendendo, ma sulla spartizione di un finanziamento la cui entità, rispetto alle dimensioni del problema, è poco meno di un “calcio di mosca”!
Chi scrive ha convintamente dato il proprio contributo a questa Legge con incontri e audizioni sia alla Camera che al Senato, ben sapendo di lavorare ad uno strumento importante, ma di dettaglio rispetto al problema centrale, che è l’attuazione dell’insieme delle politiche per la disabilità previste nella nostra Legislazione. Questa considerazione, non a torto, ha fatto dire ad alcune Associazioni che si stava varando una legge pleonastica.
È in capo alle Regioni, in forza della riforma del Titolo V della Costituzione, l’attuazione delle politiche sociali che hanno la loro matrice nella Legge 328/00 (varata prima della stessa riforma del Titolo V).
La Regione Lazio solo nel 2016 ha provveduto a recepire la Legge 328/00, licenziando, il 10 agosto di quell’anno, la Legge Regionale n. 11, che prevede, all’articolo 9 il «piano personalizzato di assistenza» e all’articolo 12, comma c, la «realizzazione di reti di sostegno e di strutture residenziali di tipo familiare all’interno della comunità, a favore di persone con grave disabilità e delle persone con sofferenza psichica prive di adeguato sostegno familiare per interventi del prima e del dopo di noi. In tale contesto sono promossi interventi ed azioni mirati alla fase del durante noi, al fine di garantire la progressiva presa in carico della persona con disabilità, anche grave, durante l’esistenza in vita dei genitori, rafforzando quanto previsto in tema di progetti individuali per le persone disabili nonché di favorire la deistituzionalizzazione dei servizi alla persona e assicurare la continuità di cura, la dignità e l’autonomia della persona con disabilità priva di sostegno familiare».
È perciò nella responsabilità delle Regioni – della Regione Lazio nello specifico – attuare, utilizzando anche gli strumenti previsti nella Legge 112, proprie scelte politiche, necessarie per dare al problema del “Dopo di Noi” una soluzione solidaristica ed universalistica, secondo i princìpi democratici che la citata Legge Regionale 11/16 ha egregiamente interpretato.
Inoltre, sull’esempio delle buone prassi già attuate da altre Regioni, andrebbe istituito un organismo regionale permanente di gestione e garanzia, declinato da alcune Regioni come Fondazione di Partecipazione, che riscuota la fiducia delle persone con disabilità e delle loro famiglie, ed assuma la governance di un sistema che non può essere lasciato allo spontaneismo di un’utenza tanto più debole quanto più impellente è il bisogno.
Su questo va cercata un’interlocuzione con i decisori politici, per integrare gli strumenti tecnico giuridici a disposizione con altri amministrativi di conio regionale, che consentano di attuare politiche in armonia con la Legislazione vigente, a partire dalla citata Legge Regionale 11/16 (Sistema integrato degli interventi e dei servizi sociali della Regione Lazio), che si rifà all’intero corpus della legislazione sui problemi della disabilità, a partire dalla Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità.